martedì 11 gennaio 2011

Oro


Luce purissima e ardente. Oro, sedusse l’uomo in varie forme e fu associato al sole. Qualcuno credette la stella e il metallo perfettamente coincidenti, pensò che il sole fosse d’oro e lo derubarono di tutto, mentre non cessava di guardare in su cercando conferme, risposte o almeno un cenno. L’Oro, in pagliuzze rare, fece la sfortuna e fece la febbre, fu malattia e medicina insieme, destabilizzò l’umanità senza muovere un dito, senza desiderarlo nemmeno. Lui ci ha storditi e dissennati con l’Auraticità, quella irradiata dal nastrino azzurro di Werther; sua è l’aureola dei santi e suo l’aldilà, lo spazio dove le madonne bidimensionali restano immobili e eterne.
Brilla nei denti mangiati dalle carie, è stato spettatore di duelli, omicidi, avvelenamenti, congiure di palazzo, di arrembaggi, senza mai contaminarsi o rabbuiarsi, nelle parrucche appiccicose degli
amministratori del re come nelle mani lerce dei filibustieri e dei banditi. Rimanendo perfetto, come se il mondo, i suoi innamorati, i suoi santi e i suoi morti ammazzati non valessero niente, non fossero mai esistiti.

Matteo Rubbi, da Novantadue, libricino che accompagnava la mostra allo studio Guenzani di Milano, dal 17 settembre al 25 novembre 2010.

Per chi vuole approfondire, della mostra s'è parlato anche qui su Domus e qui su Frieze.

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